Introduzione

Introduzione

Benvenuti nella nostra serie di articoli dedicati ai reati informatici.

In questo articolo parleremo del reato di diffusione di programmi diretti a danneggiare o interrompere un sistema informatico, previsto dall’articolo 615-quinquies del Codice Penale italiano.

Questo è uno dei reati più gravi nel campo della criminalità informatica, in quanto può causare danni considerevoli alle reti informatiche, alle aziende e agli utenti.

Scopriamo insieme cos’è la diffusione di programmi dannosi, quali sono le conseguenze e come possiamo contribuire a prevenire questo tipo di crimine.

Reati informatici: l’ Art. 615-Quinquies Codice Penale

In Italia, il Codice Penale prevede una serie di articoli che puniscono i reati informatici, tra cui l’Art. 615-quinquies, che si concentra sulla diffusione di programmi diretti a danneggiare o interrompere un sistema informatico. Questo articolo punisce chiunque, con la consapevolezza della natura dannosa del programma, diffonde un programma informatico volto a danneggiare o interrompere un sistema informatico.

Il bene giuridico oggetto di tutela è la riservatezza informatica e la indisturbata fruizione del sistema informatico da parte del gestore. La norma sanziona la detenzione o la messa a disposizione di apparecchiature in grado di infrangere i presidi posti a tutela del “domicilio informatico altrui”.

Confronto tra art. 615-quinquies e art.615-quater

La differenza tra l’articolo 615-quinquies e l’articolo 615-quater sta nella finalità del programma informatico.

Mentre l’articolo 615-quater punisce la diffusione di programmi diretti a commettere reati informatici, come l’accesso abusivo ad un sistema informatico o la frode informatica, l’articolo 615-quinquies si concentra sulla diffusione di programmi volti a danneggiare o interrompere un sistema informatico.

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Elemento oggettivo ed elemento soggettivo

L’elemento oggettivo del reato previsto dall’articolo 615-quinquies del Codice Penale italiano consiste nella diffusione, mediante apparecchiature, dispositivi o programmi informatici, di virus, worm, trojan horse o altri strumenti analoghi diretti a danneggiare o interrompere il funzionamento di un sistema informatico o telematico. In altre parole, l’azione criminosa consiste nell’invio o nella diffusione di codice malevolo o di altri strumenti che possano compromettere il corretto funzionamento di un sistema informatico o telematico.

L’elemento soggettivo del reato è dato dalla consapevolezza dell’autore della natura dannosa del programma, nonché dalla volontà di diffonderlo. Viene richiesto il dolo specifico costituito dal fine di danneggiare o di permettere il danneggiamento o il non funzionamento (anche temporaneo) di un sistema informatico.

Art. 615-quinquies: le pene

Le pene previste dall’articolo 615-quinquies del Codice Penale italiano prevedono la reclusione fino a due anni e una multa sino a euro 10.329.

Tuttavia, la pena può essere aumentata se il programma informatico diffuso causa danni di particolare gravità al sistema informatico, o se il reato è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio nell’esercizio delle sue funzioni.

In questi casi, la pena prevista può arrivare fino a quattro anni di reclusione e una multa fino a euro 25.823.

È importante sottolineare che le pene previste possono essere aggravate o ridotte in base alle circostanze specifiche del caso, come la gravità del danno causato al sistema informatico o la presenza di circostanze attenuanti o aggravanti.

La Digital Forensics e l’art. 615 quinquies

La digital forensics, o informatica forense, è una disciplina che si occupa di recuperare, analizzare e interpretare informazioni presenti su sistemi informatici, dispositivi mobili e altri supporti digitali al fine di raccogliere prove utili in ambito giudiziario. Nella lotta contro i reati informatici, l’informatica forense può svolgere un ruolo fondamentale per provare la diffusione di programmi dannosi per i sistemi informatici, prevista dall’articolo 615-quinquies del Codice Penale italiano.

In particolare, gli esperti di informatica forense possono utilizzare tecniche e strumenti specifici per acquisire e analizzare i dati presenti su un sistema informatico, allo scopo di individuare la presenza di programmi dannosi o di evidenze che possano dimostrare la diffusione di tali programmi.

Inoltre, la digital forensics può fornire informazioni utili sulla dinamica dell’attacco informatico, sulla sua origine e sulle modalità di diffusione dei programmi dannosi.

Per provare la diffusione di programmi dannosi ai sensi dell’articolo 615-quinquies, è necessario dimostrare l’elemento oggettivo e soggettivo del reato, ovvero la diffusione di un programma informatico dannoso con la consapevolezza della sua natura e la volontà di diffonderlo.

L’informatica forense può fornire le prove necessarie per dimostrare questi elementi, utilizzando tecniche di analisi dei dati e di ricostruzione degli eventi.

In conclusione, la digital forensics rappresenta uno strumento fondamentale per la lotta contro i reati informatici, inclusa la diffusione di programmi dannosi prevista dall’articolo 615-quinquies del Codice Penale italiano. Grazie all’utilizzo di tecniche e strumenti specifici, gli esperti di informatica forense possono acquisire le prove necessarie per dimostrare la colpevolezza dell’autore del reato e contribuire alla giustizia.

Alcuni Casi

Uno dei casi più noti in Italia riguarda l’operazione denominataEyePyramid”, che ha portato all’arresto di due persone per la diffusione di un malware in grado di intercettare le email di numerose personalità del mondo politico, economico e industriale italiano.

L’utilizzo della digital forensics ha permesso di ricostruire le attività degli autori del reato e di acquisire le prove necessarie per dimostrare la loro colpevolezza.

Un altro caso di rilevanza nazionale riguarda l’arresto di un hacker che aveva diffuso un malware in grado di criptare i dati dei sistemi informatici delle aziende vittime del suo attacco. Anche in questo caso, l’utilizzo della digital forensics ha permesso di acquisire le prove necessarie per dimostrare la colpevolezza dell’autore del reato e portarlo alla giustizia.

In entrambi i casi, l’utilizzo della digital forensics ha giocato un ruolo fondamentale nell’individuazione e nella dimostrazione della colpevolezza degli autori dei reati informatici, dimostrando l’importanza di questa disciplina nella lotta contro i crimini informatici.

Cassazione penale , sez. V , 16/04/2018 , n. 40470

La sentenza della Corte di Cassazione n. 40470 del 16 aprile 2018 riguarda un caso in cui un individuo si era procurato un congegno elettronico per alterare il sistema di protezione di una macchina cambiamonete, con l’intenzione di impadronirsi delle somme contenute al suo interno.

La Corte ha annullato la sentenza di merito che aveva ravvisato i presupposti del reato di diffusione di apparecchiature, dispositivi o programmi informatici diretti a danneggiare o interrompere un sistema informatico o telematico, poiché non era stata data una spiegazione adeguata sulle ragioni per cui la macchina cambiamonete poteva essere considerata un sistema informatico e non era stata fornita una motivazione sufficiente sull’effettiva capacità del congegno di alterare il funzionamento della macchina.

Questa sentenza mette in evidenza l’importanza di una corretta motivazione nelle decisioni giudiziarie riguardanti i reati informatici, poiché il mancato riconoscimento della natura di sistema informatico della macchina cambiamonete e la mancanza di una motivazione adeguata sull’effettiva capacità del congegno di alterarne il funzionamento hanno portato all’annullamento della sentenza di condanna.

In questo contesto, la digital forensics può svolgere un ruolo fondamentale nel fornire le prove necessarie per dimostrare la natura di sistema informatico di un dispositivo o di un’apparecchiatura e la capacità di un congegno di alterarne il funzionamento, contribuendo così a una corretta valutazione giuridica del caso.

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